Giovanni Antonio Scopoli

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Giovanni Antonio Scopoli nacque a Cavalese nel 1723. Fu sicuramente uno dei più versatili naturalisti pre-linneani. A soli 20 anni si laureò in medicina all’università di Innsbruck e successivamente esercitò la professione di medico a Cavalese (Trento).
A Venezia iniziò ad interessarsi di botanica. In quel periodò cominciò a collezionare piante ed insetti rinvenuti nelle Alpi. Per due anni fece da segretario privato al Conte di Seckan. In seguito, divenne medico delle miniere di Idria, un piccolo borgo della Carniola (oggi in Slovenia), rimanendo lì per sedici anni. Nel 1761 pubblicò De Hydroargyro Idriensi Tentamina, che trattava dei sintomi dovuti all'avvelenamento da mercurio causato dal lavoro in miniera. Scopoli trascorse molto tempo a studiare la natura locale, pubblicando nel 1760 la Flora Carniolica e un'importante opera di entomologia. Divenne quindi professore di chimica, mineralogia e metallurgia all'Accademia Mineraria di Schemnitz, dal 1769 al 1776. In questi anni egli produsse le sue opere scientifiche più rinomate di botanica e di mineralogia.

Nel 1777 fu chiamato a ricoprire la cattedra di chimica e botanica all'università di Pavia, incarico che conservò fino all'anno della morte, nonostante il suo coinvolgimento nel fallito tentativo di screditare il collega Lazzaro Spallanzani agli occhi delle autorità universitarie e governative.

A Scopoli fu dedicato il Genere Scopolia della Famiglia delle Solanaceae; la Specie più nota è la Scopolia carniolica Jacq., ricca in alcaloidi ad attività narcotica.
Le sue opere più importanti sono: la già citata Flora Carniolica, e la Entomologia Carniolica, con la descrizione delle specie botaniche e degli insetti studiati durante i suoi viaggi e ordinate secondo i sistema linneano, gli Anni Historico-Naturales, scritti di mineralogia, cristallografia e micologia, opere originali e traduzioni ad uso dei suoi studenti, le Deliciae florae et faune Insubricae, suo ultimo lavoro.

Spallanzani, Scopoli e la beffa della Physis
Il naturalista fu entusiasta quando il medico Giuseppe Capitini di Castelnuovo Scrivia (Alessandria) gli portò un vaso in cui era conservato nello spirito di vino uno strano verme che, secondo quel che gli fu riferito, era stato vomitato da una donna incinta il 25 febbraio 1784. Scopoli, appurato che tale animale non era mai stato descritto, gli attribuì un nome, Physis intestinalis, e lo descrisse nell’opera a cui stava lavorando, Deliciae florae et faunae insubricae, facendola illustrare in una tavola con tanto di dedica al botanico Joseph Banks. L’esemplare fu acquistato dal Museo di storia naturale di Pavia ed esposto come una preziosa rarità. Scopoli non sapeva che, prima che a lui, lo straordinario verme intestinale era stato portato al medico piemontese Michele Vincenzo Malacarne. Questi, con l’ausilio del professor Giovanni Dana, aveva esaminato la presunta novità zoologica e fu “riconosciuto che era una impostura, consistendo esso in una trachea tratta dal corpo di una gallina insieme con l’esofago e il gozzo”. La notizia si diffuse. Secondo una versione, Giovanni Serafino Volta, custode del museo pavese, portò via, nascondendolo sotto il mantello, il vaso con la Physis intestinalis per evitare ulteriori derisioni.
Non molto tempo prima del caso della Physis, Scopoli, l’appena citato Volta e altri due studiosi avevano cercato di far credere alle autorità e all’opinione pubblica che Lazzaro Spallanzani avesse rubato diversi pezzi dal museo. Il celebre accusato era stato riconosciuto innocente ed i quattro “congiurati” severamente ammoniti. La pubblicazione delle Deliciae offrì a Spallanzani un’occasione per vendicarsi di Scopoli. In un libro pubblicato sotto lo pseudonimo di Francesco Lombardini, Spallanzani mise in ridicolo Scopoli e la sua opera e, ovviamente, largo spazio era dedicato all’abbaglio della Physis.

Oltre che gli screzi con i colleghi e la famigerata beffa della Physis, la vita di Scopoli fu dura e sventurata, a causa della prematura morte della moglie e dei figli.
Si spense a Pavia nel 1788, probabilmente per la malattia che da vari anni aveva deteriorato la sua vista per il lungo e continuo uso del microscopio.

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